giovedì 31 agosto 2017

Facciamo una croce sopra al razzismo




La notizia risale alla fine di agosto:  Lidl, nota catena di super mercati low cost ha cancellato con photoshop la croce dalle cupole delle chiese greche ritratte sulle confezioni  di alcuni suoi prodotti. I giorni passano, ma l’idea non mi va proprio giù. Allora, secondo la massima in base a cui:
“se proprio non potete far a meno di farvi venire il mal di fegato, almeno sfogatevi scrivendo. Non so se serve, ma male non fa (1)”  
ho deciso finalmente di esprimere il mio disagio per iscritto.
Cosa può spingere un’azienda a compiere un atto così demenziale?  
Forse un manager del marketing & comunicazione una mattina si è svegliato e ha improvvisamente realizzato che sulla sommità delle chiese cristiane c’è la croce. Avrà pensato che anche qualcuno dei clienti non cristiani potesse  scoprire la sconvolgente novità, stupore comprensibile, in fondo sono passati solo diciassette secoli da quando Costantino  rese il culto cristiano libero. Il cliente non cristiano, offeso, scioccato o indignato, avrebbe potuto decidere di non comprare più i prodotti greci di marca Eridanous, ammesso che li avesse mai acquistati prima. Una vera tragedia per l’umanità e per le casse di Lidl, un colosso da 86 miliardi di euro all’anno, con oltre 300.000 dipendenti e 10.000 punti vendita (2), che non può proprio permettersi di perdere la vendita di qualche confezione di feta o di yogurt Eridanous.
Come scongiurare la catastrofe?
Il brillante comunicatore ha avuto allora l’intuizione di cancellare la croce incriminata a colpi di photoshop. Praticamente un genio.
La trovata ha mandato su tutte le furie un buon numero di clienti, persone comuni magari nemmeno particolarmente incazzuse, che non avevano niente contro la catena di supermercati, anzi, ci andavano spesso, mentre adesso minacciano di non metterci più piede. Belgi, inglesi, greci, cattolici, ortodossi, laici, sacerdoti hanno manifestato la loro disapprovazione commentando la pagina facebook della catena di supermercati. L’iconoclastia della Lidl è stata il potente catalizzatore di un dissenso così trasversale, che a volerlo creare a tavolino non ci si sarebbe riusciti. Forse il comunicatore della Lidl potrebbe darsi alla politica: non c’è partito che non vorrebbe vederlo assunto dai propri avversari. Per sabotarli.
La Lidl  giustifica l’azione sulla base di una pretesa “neutralità religiosa” (3) ed aggiunge che la decisione è motivata dal non voler "offendere altre religioni" (4)

Peccato per Lidl che la rete non perdona, e soprattutto non dimentica. Alcuni utenti hanno pubblicato su Facebook delle foto in cui il noto discount reclamizzava il proprio assortimento di prodotti per il ramadan:


e la foto di una confezione di cibo pronto che contiene il logo di una moschea.


L’alibi della neutralità religiosa si è miseramente sgretolato.
Come commentare la decisione di non offendere altre religioni?
Umberto Eco, paludato studioso di semiotica celatosi per anni sotto le mentite spoglie di un oscuro autore di best seller, ha scritto che la croce è emblema,
la croce sta per cristianesimo (5).
La croce sulla sommità di una chiesa non è un orpello, un particolare decorativo pleonastico, ma è elemento essenziale della sua identità. La croce è quella caratteristica peculiare che connota una chiesa come tale, e la distingue a colpo d’occhio da una casa, da una scuola, da un qualunque edificio pubblico o privato. E, soprattutto, la croce è un elemento simbolico che rappresenta l’appartenenza ad una comunità, l’aderenza ad un sistema di valori, la fede in una rivelazione. La croce è parte inscindibile della identità dei cristiani.
Ad essere un minimo in buona fede si comprende quanto sia discriminatoria e razzista l’idea che qualcuno potrebbe sentirsi offeso dalla sola esistenza di una comunità religiosa in cui non si riconosce.
L’Oxford dictionary, mica la settimana enigmistica, definisce il razzismo come:
Pregiudizio, discriminazione, o antagonismo diretto verso qualcuno di un’altra razza, basato sulla convinzione che la propria razza sia superiore (6)
Al posto di razza, metteteci religione.
La cattiva notizia per tutti, laici e credenti di altre fedi compresi, è che se accettiamo il principio che ci siano identità che vanno cancellate per non offenderne altre, stiamo di fatto legittimando un’azione razzista, e non vale come attenuante  il fatto che il discriminato non ci è simpatico, o abbraccia ideali e valori diversi dai nostri.
Vi risulta più chiaro?
Decidere di contrastare questo atteggiamento discriminatorio è un atto di civiltà che non ha nulla di specificamente apologetico della religione cristiana. Oggi la differenza che offende e va eliminata è l’identità cristiana, domani potrebbe essere la razza, l’orientamento sessuale, la minoranza etnica di appartenenza.
Cosa accadrebbe se la stessa catena di supermercati, per aumentare le vendite di una certa marca di latte di soia, decidesse di modificare l’immagine della donna asiatica ritratta sulla confezione, ridisegnando la forma dei suoi lineamenti,   per non offendere le consumatrici di altre razze, in nome della neutralità “razziale”?
E cosa penseremmo se ad una premiazione alle paralimpiadi, qualche giornale ricostruisse con photoshop gli arti mancanti degli atleti, per cancellare le loro differenze rispetto agli altri, in modo che non possano essere considerate offensive verso i così detti normo-dotati?
E come ci sentiremmo se al prossimo mondiale di calcio si decidesse di procedere alle premiazioni dei vincitori senza suonare il loro inno nazionale e vietando l’esposizione delle bandiere, per “non offendere atleti o squadre di altre nazioni?”
L’occidente moderno non si è forse battuto e non continua a battersi per accettare il diverso e l’altro da sé? Non ci siamo forse sempre detti che la diversità è ricchezza, va protetta e rispettata? Ritenere le differenze un problema da eliminare, non è forse la radice più profonda ed autentica del razzismo?
In Italia l’episodio è stato accolto con indifferenza dai media. Non una parola di condanna o di analisi dai super-opinionisti di costume e comunicazione, quei signori molto intellettuali i cui millemila follower sono pronti a scatenare uno tsunami di likead ogni sbadiglio dei loro guru.
Spesso, quando si attaccano i cristiani, i laici alzano le spalle: perché dovrebbe essere affar loro che si cancellino le croci dalle cupole delle chiese?  Già tempo addietro René Guitton scriveva che siamo di fronte ad una
svalutazione implicita e sistematica del cristianesimo, incoraggiata da un laicismo ottuso e aggressivo che si manifesta nel modo in cui i media trattano le vicende che riguardano i cristiani (7).
Qualcuno dovrebbe rivelare a questo esercito di illuminati comunicatori e alla loro claque virtuale, che gli sfugge l’elemento chiave della faccenda: cancellare le croci da una chiesa è un puro e semplice atto di razzismo, che con la religione c’entra, ma fino ad un certo punto. Laici, atei, persino gli anticlericali dovrebbero energicamente protestare contro questa idiosincrasia ideologica verso le differenze, non gli chiediamo mica combattere contro una cristianofobia
multiforme che si nutre di motivazioni tra loro assai diverse (8)
figurarsi, a quella ci pensiamo noi credenti, che comunque ormai ci abbiamo fatto il callo.

Gli indifferenti al cristianesimo dovrebbero riflettere sul fatto che, oltre a rappresentare un elemento fondamentale e connotativo dell’identità dei cristiani, la croce ha una valenza culturale di natura più generale. Nessun laico, se in buona fede, lo può negare. Una riflessione intellettualmente onesta convergerebbe con posizioni espresse da laici in tempi non sospetti.
Umberto Eco, nel 2009, scriveva infatti:

Che dire ai non cristiani che ormai abitano in modo consistente l'Europa? Che esistono a questo mondo degli usi e costumi, più radicati delle fedi o delle rivolte contro ogni fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per questo se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci vado. Per questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non esibire abiti provocanti, altrimenti si limiti a visitare i musei.
La croce è un fatto di antropologia culturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità comune. Chi emigra da noi deve anche familiarizzarsi con questi aspetti della sensibilità comune del paese ospite (9)
Per misurare la fondatezza di questa analisi, è sufficiente consultare un dizionario della lingua italiana. L’espressione “croce e delizia” indica la duplicità di piacevolezza e difficoltà di una situazione. “Mettere in croce” significa tormentare qualcuno. “Avere la propria croce” significa dover affrontare un problema o una situazione dolorosa. Tirare “testa o croce” significa affidarsi alla casualità. L’utilizzo di questi modi di dire è frequente fra la gente comune, ma non presuppone necessariamente l’aderenza alla fede cristiana. La Croce Rossa non cura solo malati di fede cristiana, e le bandiere di Grecia, Svizzera, Inghilterra, Olanda, Svezia, Norvegia contengono la croce, benché non vi sia alcun obbligo, per i loro cittadini, di aderire al cristianesimo.
Duemila anni di storia, di tradizione, di cultura, di modi di dire e di sentire non possono essere rimossi a colpi di photoshop.
Difendere l’esistenza della croce da una cancellazione reale o metaforica è un modo per salvaguardare la nostra identità, persino quella di chi non crede, da una finta neutralità che non è modernità, tolleranza o apertura, ma solo è povertà di spirito, perché, come disse il Cardinale Biffi:
Va d'accordo con tutte le idee solo chi non ne ha di proprie (10).

Bibliografia
(1) A Gnocchi M Palmaro Io speriamo che resto cattolico Piemme
(2) C https://en.wikipedia.org/wiki/Lidl
(4) http://www.thecsf.org/2017/09/05/grocery-store-lidl-draws-flak-for-removing-crosses-from-greek-food-packaging/
(5) Umberto Eco Semiotica e filosofia del linguaggio, Einaudi
(7)  René Guitton Cristianofobia Lindau
(8) René Guitton op cit
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giovedì 3 agosto 2017

Letture estive

Cominciano (quasi) le vacanze, i ritmi rallentano, e fra i miei buoni propositi c'è: leggere, leggere e leggere! E ho scoperto con gioia questo titolo, poco noto ed edito da una casa editrice piccola, uno di quei libri che bisogna ordinare giorni prima e aspettare con pazienza.
Davvero un libricino di poche pagine, così leggero che se lo metti in borsa rischi di dimenticarne l'esistenza.
L'autrice, Christiane Singer, parla di amore, di storie della sua famiglia, della fatica e della gioia di sposarsi, e restare insieme una vita. Per metà saggio e per metà poesia, la Singer ha uno stile lirico e al tempo stesso la capacità di scrivere frasi lapidarie, quasi contundenti nella loro categoricità.


 
ecco alcune delle mie frasi preferite:

"la vera avventura della vita non è quella di fuggire l'impegno ma di osarlo"
"la libertà vive della potenza dei limiti"
"troppo a lungo praticato, il disimpegno rende leggeri, sempre più leggeri, inconsistenti"
"questo è ciò che rende il matrimonio così forte ed indistruttibile: unire un uomo e una donna attorno ad un progetto"
"il matrimonio è un contratto di lealtà"