Facciamo una croce sopra al razzismo
La notizia risale alla fine di agosto: Lidl,
nota catena di super mercati low cost ha cancellato con photoshop la croce
dalle cupole delle chiese greche ritratte sulle confezioni di alcuni suoi
prodotti. I giorni passano, ma l’idea non mi va proprio giù. Allora, secondo la
massima in base a cui:
“se proprio non potete
far a meno di farvi venire il mal di fegato, almeno sfogatevi scrivendo. Non so
se serve, ma male non fa (1)”
ho deciso finalmente di esprimere il mio disagio per
iscritto.
Cosa può spingere
un’azienda a compiere un atto così demenziale?
Forse un manager del marketing & comunicazione una
mattina si è svegliato e ha improvvisamente realizzato che sulla sommità delle
chiese cristiane c’è la croce. Avrà pensato che anche qualcuno dei clienti non
cristiani potesse scoprire la sconvolgente novità, stupore comprensibile,
in fondo sono passati solo diciassette secoli da quando Costantino rese
il culto cristiano libero. Il cliente non cristiano, offeso, scioccato o
indignato, avrebbe potuto decidere di non comprare più i prodotti greci di
marca Eridanous, ammesso che li avesse mai acquistati prima. Una vera tragedia
per l’umanità e per le casse di Lidl, un colosso da 86 miliardi di euro
all’anno, con oltre 300.000 dipendenti e 10.000 punti vendita (2), che non può
proprio permettersi di perdere la vendita di qualche confezione di feta o di
yogurt Eridanous.
Come scongiurare la
catastrofe?
Il brillante comunicatore ha avuto allora l’intuizione
di cancellare la croce incriminata a colpi di photoshop. Praticamente un genio.
La trovata ha mandato su tutte le furie un buon numero
di clienti, persone comuni magari nemmeno particolarmente incazzuse, che non
avevano niente contro la catena di supermercati, anzi, ci andavano spesso,
mentre adesso minacciano di non metterci più piede. Belgi, inglesi, greci,
cattolici, ortodossi, laici, sacerdoti hanno manifestato la loro
disapprovazione commentando la pagina facebook della catena di
supermercati. L’iconoclastia della Lidl è stata il potente
catalizzatore di un dissenso così trasversale, che a volerlo creare a tavolino
non ci si sarebbe riusciti. Forse il comunicatore della Lidl potrebbe darsi alla
politica: non c’è partito che non vorrebbe vederlo assunto dai propri
avversari. Per sabotarli.
La Lidl giustifica l’azione sulla base di una
pretesa “neutralità religiosa” (3) ed aggiunge che la decisione è motivata dal
non voler "offendere altre religioni" (4)
Peccato per Lidl che la rete non perdona, e
soprattutto non dimentica. Alcuni utenti hanno pubblicato su Facebook delle
foto in cui il noto discount reclamizzava il proprio assortimento di prodotti
per il ramadan:
e la foto di una confezione di cibo pronto che
contiene il logo di una moschea.
L’alibi della
neutralità religiosa si è miseramente sgretolato.
Come commentare la decisione di non offendere altre
religioni?
Umberto Eco, paludato studioso di semiotica celatosi
per anni sotto le mentite spoglie di un oscuro autore di best seller, ha
scritto che la croce è emblema,
la croce sta per
cristianesimo (5).
La croce sulla sommità di una chiesa non è un orpello,
un particolare decorativo pleonastico, ma è elemento essenziale della sua
identità. La croce è quella caratteristica peculiare che connota una chiesa
come tale, e la distingue a colpo d’occhio da una casa, da una scuola, da un
qualunque edificio pubblico o privato. E, soprattutto, la croce è un elemento
simbolico che rappresenta l’appartenenza ad una comunità, l’aderenza ad un
sistema di valori, la fede in una rivelazione. La croce è parte inscindibile
della identità dei cristiani.
Ad essere un minimo in buona fede si comprende quanto
sia discriminatoria e razzista l’idea che qualcuno
potrebbe sentirsi offeso dalla sola esistenza di una comunità religiosa in cui
non si riconosce.
L’Oxford dictionary, mica la settimana enigmistica,
definisce il razzismo come:
Pregiudizio,
discriminazione, o antagonismo diretto verso qualcuno di un’altra razza, basato
sulla convinzione che la propria razza sia superiore (6)
Al posto di razza, metteteci religione.
La cattiva notizia per tutti, laici e credenti di
altre fedi compresi, è che se accettiamo il principio che ci siano identità che
vanno cancellate per non offenderne altre, stiamo di fatto legittimando
un’azione razzista, e non vale come attenuante il fatto
che il discriminato non ci è simpatico, o abbraccia ideali e valori diversi dai nostri.
Vi risulta più chiaro?
Decidere di contrastare questo atteggiamento
discriminatorio è un atto di civiltà che non ha nulla di specificamente
apologetico della religione cristiana. Oggi la differenza che offende e va
eliminata è l’identità cristiana, domani potrebbe essere la razza,
l’orientamento sessuale, la minoranza etnica di appartenenza.
Cosa accadrebbe se la stessa catena di supermercati,
per aumentare le vendite di una certa marca di latte di soia, decidesse di
modificare l’immagine della donna asiatica ritratta sulla confezione,
ridisegnando la forma dei suoi lineamenti, per non offendere le
consumatrici di altre razze, in nome della neutralità “razziale”?
E cosa penseremmo se ad una premiazione alle
paralimpiadi, qualche giornale ricostruisse con photoshop gli arti mancanti
degli atleti, per cancellare le loro differenze rispetto agli altri, in modo
che non possano essere considerate offensive verso i così detti normo-dotati?
E come ci sentiremmo se al prossimo mondiale di calcio
si decidesse di procedere alle premiazioni dei vincitori senza suonare il loro
inno nazionale e vietando l’esposizione delle bandiere, per “non offendere
atleti o squadre di altre nazioni?”
L’occidente moderno non si è forse battuto e non
continua a battersi per accettare il diverso e l’altro da sé? Non ci siamo
forse sempre detti che la diversità è ricchezza, va protetta e
rispettata? Ritenere le differenze un problema da eliminare, non è
forse la radice più profonda ed autentica del razzismo?
In Italia l’episodio è stato accolto con indifferenza
dai media. Non una parola di condanna o di analisi dai super-opinionisti di
costume e comunicazione, quei signori molto intellettuali i cui millemila
follower sono pronti a scatenare uno tsunami di likead ogni sbadiglio dei loro guru.
Spesso, quando si attaccano i cristiani, i laici
alzano le spalle: perché dovrebbe essere affar loro che si cancellino le croci
dalle cupole delle chiese? Già tempo addietro René Guitton scriveva
che siamo di fronte ad una
svalutazione implicita
e sistematica del cristianesimo, incoraggiata da un laicismo ottuso e
aggressivo che si manifesta nel modo in cui i media trattano le vicende che
riguardano i cristiani (7).
Qualcuno dovrebbe rivelare a questo esercito di
illuminati comunicatori e alla loro claque virtuale, che gli sfugge l’elemento
chiave della faccenda: cancellare le croci da una chiesa è un puro e semplice
atto di razzismo, che con la religione c’entra, ma fino ad un certo punto.
Laici, atei, persino gli anticlericali dovrebbero energicamente protestare contro
questa idiosincrasia ideologica verso le differenze, non gli chiediamo mica
combattere contro una cristianofobia
multiforme che si
nutre di motivazioni tra loro assai diverse (8)
figurarsi, a quella ci pensiamo noi credenti, che
comunque ormai ci abbiamo fatto il callo.
Gli indifferenti al cristianesimo dovrebbero
riflettere sul fatto che, oltre a rappresentare un elemento fondamentale e
connotativo dell’identità dei cristiani, la croce ha una valenza culturale di
natura più generale. Nessun laico, se in buona fede, lo può negare. Una
riflessione intellettualmente onesta convergerebbe con posizioni espresse da
laici in tempi non sospetti.
Umberto Eco, nel 2009, scriveva infatti:
Che dire ai non
cristiani che ormai abitano in modo consistente l'Europa? Che esistono a questo
mondo degli usi e costumi, più radicati delle fedi o delle rivolte contro ogni
fede, e gli usi e costumi vanno rispettati. Per
questo se visito una moschea mi tolgo le scarpe, altrimenti non ci vado. Per
questo una visitatrice atea è tenuta, se visita una chiesa cristiana, a non
esibire abiti provocanti, altrimenti si limiti a visitare i musei.
La croce è un fatto di
antropologia culturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità
comune. Chi emigra da noi deve anche familiarizzarsi con
questi aspetti della sensibilità comune del paese ospite (9)
Per misurare la fondatezza di questa analisi, è
sufficiente consultare un dizionario della lingua italiana. L’espressione “croce
e delizia” indica
la duplicità di piacevolezza e difficoltà di una situazione. “Mettere
in croce” significa
tormentare qualcuno. “Avere la propria
croce” significa
dover affrontare un problema o una situazione dolorosa. Tirare “testa
o croce” significa
affidarsi alla casualità. L’utilizzo di questi modi di dire è frequente fra la
gente comune, ma non presuppone necessariamente l’aderenza alla fede cristiana.
La Croce Rossa non cura solo malati di fede cristiana, e le bandiere di Grecia,
Svizzera, Inghilterra, Olanda, Svezia, Norvegia contengono la croce, benché non
vi sia alcun obbligo, per i loro cittadini, di aderire al cristianesimo.
Duemila anni di
storia, di tradizione, di cultura, di modi di dire e di sentire non possono
essere rimossi a colpi di photoshop.
Difendere l’esistenza della croce da una cancellazione
reale o metaforica è un modo per salvaguardare la nostra identità, persino
quella di chi non crede, da una finta neutralità che non è modernità,
tolleranza o apertura, ma solo è povertà di spirito, perché, come disse il
Cardinale Biffi:
Va d'accordo con tutte
le idee solo chi non ne ha di proprie (10).
Bibliografia
(1) A Gnocchi M Palmaro Io speriamo che resto
cattolico Piemme
(2) C https://en.wikipedia.org/wiki/Lidl
(4)
http://www.thecsf.org/2017/09/05/grocery-store-lidl-draws-flak-for-removing-crosses-from-greek-food-packaging/
(5) Umberto Eco Semiotica e filosofia del
linguaggio, Einaudi
(7) René Guitton Cristianofobia Lindau
(8) René Guitton op cit
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