venerdì 29 settembre 2017

Il triste mercato della maternità moderna - Convegno di bioetica a Milano

Il convegno cominciava alle tre, e alle 2 e trentadue stavo ancora cercando parcheggio. Scarpe col tacco nella borsa, sostituite dalle ballerine da combattimento, poi cinque fermate di metropolitana e la solita corsa a perdifiato fino alla Biblioteca Ambrosiana, in una Milano insolitamente calda ed assolata per un pomeriggio di fine settembre. Sono arrivata trafelatissima e ovviamente in ritardo di quindici minuti, come al solito. Per fortuna il Santo protettore delle ritardatarie croniche mi protegge costantemente, e per quanto fossi praticamente l'ultima, il convegno non era ancora cominciato ed io ho trovato posto addirittura in seconda fila.




I relatori rappresentavano una pluralità di punti di vista: medico, politico, economico, religioso, fornendo informazioni e spunti di riflessione sul mondo, quello della fecondazione assistita, con tutte le sue implicazioni bioetiche, moderatrice del dibattito Laura Gotti Tedeschi, in evidente attesa: mi è sembrato di ottimo auspicio. 


Josephine Quintavalle – Fondatrice e direttrice di CORE, l’associazione inglese che da anni promuove il dibattito su questi temi di bioetica, ha rivelato che l'opinione pubblica, ed in particolare le donne, hanno poche informazioni e confuse sul tema della fertilità,  e dello sfruttamento di mamme e bambini già in atto. La fecondazione assistita in certi paesi permette atrocità come la produzione di figli su ordinazione, nuove forme di schiavitù ai danni di donne giovani, prive di tutele legislative ed economicamente svantaggiate, usate come produttrici di ovuli, embrioni, e come incubatrici di figli destinati ad altri: genitori single, al di fuori dei limiti anagrafici o biologici per diventarlo, non in grado di offrire al figlio una vita normale.

Il prof Bruno Monegazza, ginecologo e ricercatore, ha infatti condiviso una recente indagine, che mostra che solo il 33% delle donne adulte sanno realmente come funziona la fisiologia della riproduzione, percentuale che scende al 13% fra le giovanissime. Meno conoscenza equivale a impossibilità di fare scelte consapevoli. Anche le informazioni sulla reale azione farmacologica delle pillole post coitali (pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo) sono ambigue: ufficialmente indicate come inibitrici della ovulazione, hanno in realtà azione abortiva, impedendo la sopravvivenza dell'embrione. Meno ancora si sa su ciò che avviene con la fecondazione assistita. L'ovaio è stimolato a produrre moti ovociti, che fecondati daranno origine a molti embrioni. Non tutti gli embrioni diventeranno bambini: gli embrioni in eccesso vengono congelati, procedimento a cui uno su quattro non sopravvive. Quelli destinati all’impianto nel grembo della mamma sono sottoposti a diagnosi genetica: se a rischio di sviluppare patologie come il cancro al seno e all'intestino vengono distrutti, sebbene la predisposizione genetica non implichi necessariamente lo sviluppo del cancro. 

In base a questa pratica, Angelina Jolie non sarebbe mai dovuta nascere! (lo so cosa state pensando: che allora Brad Pitt sarebbe libero, ma comunque non riusciremmo a raggiungerlo: Ryan air è sull'orlo del fallimento)



Senza una adeguata cornice legislativa e presa di coscienza civile, i bambini di domani potrebbero avere tre o quattro genitori, anche dello stesso sesso, essere stati selezionati in base al sesso o altre caratteristiche genetiche, essere sopravvissuti all'aborto selettivo, in nome di quello che Ettore Gotti Tedeschi ha definito il "bio-diritto", ovvero il prevalere di norme ed orientamenti di enti e governi internazionali (OMS, ONU) sulle questioni bioetiche. Secondo Gotti Tedeschi in occidente prolifera una cultura anti-uomo: una distorta interpretazione ambientalista e neo-malthusiana, che vede nel genere umano il nemico della natura, preoccupata che la crescita demografica umana minacci l’equilibrio del pianeta. La conseguenza di questi condizionamenti ha portato al calo demografico dei paesi occidentali, che porta al paradosso moderno del sesso senza procreazione, e della procreazione senza sesso

Eugenia Roccella ha spiegato che la politica non riesce a invertire la tendenza alla denatalità, nemmeno in paesi come la Francia e la Germania, che hanno politiche di welfare molto decise per sostenere le famiglie. Si è indebolito il desiderio di maternità, privato del suo valore sociale, e l’identità di genere, con uomini che hanno perso la dimensione della protezione, e donne quella della cura. 

Mons. Luigi Negri – Arcivescovo di Ferrara-Comacchio ha chiuso il dibattito, ricordando a tutti che l’antropologia cristiana si basa sulla gratuità, sul dono della vita, che non è un bene di consumo o un oggetto di trattativa. L’Arcivescovo ha ribadito la necessità del recupero del ruolo dell’uomo come “padrone del creato” come ricordato nell’Evangelium vitae.

lunedì 18 settembre 2017

I super-genitori e l'anti-famiglia



Tutte le sere percorro in macchina più o meno la stessa strada, una lunga teoria di code al semaforo su una strada quasi in rettilineo. La faccio col pilota automatico, e intanto inseguo pensierini serali: se ho ancora una scatoletta di tonno, per cena stasera faccio la pasta, Celeste deve ripassare i verbi francesi per il test d’ingresso, devo ricordarmi di comprare il detersivo per il bucato. Mentre spunto la mia lista quotidiana di incastri esistenziali, la radio passa uno spot che per un attimo mi folgora. È la pubblicità di Fastweb e Sky per la nuova fibra, in cui una “super -mamma” torna a casa la sera e trova una figlia intenta a chattare, un figlio che fa i videogiochi e un super-marito che si dedica al calcio televisivo. La super-mamma non batte ciglio, anzi, con la massima disinvoltura annuncia che allora sarà libera di ritagliarsi uno spazio tutto per sé, guardando un film.
Intendiamoci: il mio sogno erotico più inconfessabile è indossare il mio miglior pigiama, stendermi languidamente sul divano e guardare film melensi, divorando cibo spazzatura e semplicemente dimenticandomi di avere figli, marito, cena da preparare, compiti da correggere e lavastoviglie da caricare o scaricare. Ci tengo a dirlo per non passare da moralista ipocrita: chi di voi mamme non ha mai sognato una serata così, scagli il primo anatema.
E confesso di aver trasmesso a ripetizione il CD degli Incredibili, appena ho capito che mi permetteva di sdoganare la “serata avanzi” facendola passare per una cena da super-eroi. Lo so che noi mamme siamo indaffaratissime, che in un solo pomeriggio possiamo riuscire ad incastrare anche tre o quattro impegni, a patto di non badare a sottigliezze superflue come la puntualità, o il trovare un parcheggio che non sia in divieto. E lo so che ci venderemmo un pezzo di fegato, per quanto ormai non più in così buone condizioni, per avere un po’ di tempo libero. Ma quella descritta dalla pubblicità è un’anti-famiglia, un luogo in cui convivono persone che sembrano avere in comune solo la prossimità fisica, troppo impegnate a farsi ciascuno i fatti propri per riconoscere il bisogno di stare coi propri cari, di ritrovarsi insieme dopo una giornata di studio o di lavoro, di condividere le loro vite. Non mi meraviglio che la pubblicità dipinga questa anti-famiglia e la beatifichi: è un cliente dai multiformi bisogni, a cui vendere a caro prezzo una marea di servizi, affamata di isolamento e relax e desiderosa di fuggire dalle responsabilità e dalle fatiche della vita quotidiana.
Il Papa ha sempre ragione, specie quando dice:
i legami coniugali e familiari sono in molti modi messi alla prova. L’affermarsi di una cultura che esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro (1)
I “super” genitori, nella pubblicità come nella vita reale, sembrano sin troppo ansiosi di derogare al loro ruolo di educatori e di presenze vigili, e preferiscono attività gratificanti e solitarie, lasciando allegramente i figli privi di qualunque guida, in balia di baby sitter “digitali” divertenti ed anaffettive. Ed è in questo prefisso “super” che sta il grande malinteso di tante famiglie di oggi: l’idea che fare tanto sia di per sé un valore, che si compensi la mancanza di qualità con la quantità di cose affrontate nel corso della giornata, che questo essere indaffarati ci permetta di auto-assolverci, perché tanto, “più di così” cosa volevi fare? La ricetta per mamme “non super” in due mosse facili e veloci dovrebbe essere separare ciò che è veramente buono ed utile per la famiglia dal rumore di fondo. E lo so che in linea di principio tutto quello che facciamo ci sembra indispensabile, anzi, se potessimo, avremmo una lista di cose bella lunga da aggiungere alle fatiche quotidiane, dobbiamo però fare questo fondamentale esercizio di auto-disciplina. In tutto questo agitarsi perdiamo il nostro scopo, che è trasmettere ai nostri figli dei valori, non per sms o installandogli qualche magica app nel cervello, sebbene un’app per riordinare le camerette senza fatica, se esistesse, l’accoglierei subito e volentieri. I figli dobbiamo educarli alla vecchia maniera: parlando con loro e dando loro l’esempio, dribblando i capricci, riuscendo con fatica a farsi ascoltare e, se sono adolescenti verbosi, affrontando la loro dialettica e i loro neuroni giovani e scoppiettanti.
Questo metodo, anche se vintage, rimane sempre attuale e intramontabile, più o meno come le décolleté di vernice e il girocollo di perle.
E’ inutile prendersela coi massimi sistemi, coi governi e coi progetti culturali e sociologici che non promuovono la famiglia, se noi per primi non riusciamo a mettere da parte la nostra comodità e spenderci per i figli, e anche per il marito e la moglie. Per educare i figli dobbiamo prima di tutto educare noi stessi.
Per essere mamme davvero “super” facciamo meno. E facciamolo meglio.
 1 http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/10/28/news/rivoluzione-si-ma-intanto-francesco-condanna-le-ideologie-anti-famiglia-105930/

mercoledì 6 settembre 2017

NUDI&CRUDI?

Ecco il triste bottino di un tardo pomeriggio in Corso Buenos Aires a Milano. Ero di ritorno da una conferenza e tutti o quasi i negozi, qualunque fosse il tipo di articoli venduti, esponeva cartelloni con donne poco vestite, talvolta in pose ammiccanti o ambigue. Armata di telefono ho fotografato vetrine, mi sono intrufolata nei negozi, ho aggirato la diffidenza delle commesse fingendomi straniera (nù vol-au-vent savuar...) ed et voilà... le donne della pubblicità stanno nude e crude davanti all'obiettivo, come quarti di bue e cosce di pollo dietro al banco frigo dei supermercati.

Ed ecco, avete visto che belle scarpe? Come sarebbe "quali scarpe?"



Senza la mia collana mi sento nuda... senza il reggiseno no!


"l'accappatoio che acchiappa..."


Trova l'errore. O la barretta. O tutti e due!


ma se il nudo è integrale, il profumo è bio?


 Una immagine calzante?


 Masha e Orso versione hard core?


E lo so che qualcuno potrebbe pensare che la mia sia solo invidia, perché un fisico da cartellone pubblicitario io non lo ho. Lo ammetto senza difficoltà: pancia piatta e vita stretta sono caratteristiche così lontane nel tempo che neanche me ne ricordo, dopo tre gravidanze e l'avanzata implacabile della mezza età, ma di qui ad invidiare le testimonial...

L'eclisse del pudore è tutt'altro che un neutro segno dei tempi. Al contrario è una perdita grave perchè il pudore:
                      "È una difesa naturale della persona che protegge la
                        propria interiorità ed evita di trasformarsi in un
                        puro oggetto.(1)"

Il corpo, nudo e crudo, viene associato ad un bene di consumo, quasi che fosse anch'esso un prodotto, senza alcun pudore, senza alcuna discrezione, come fosse un pezzo di carne privo di umanità, di anima, di valore, come non fosse parte di una persona, ma solo un involucro, un oggetto materiale di piacevole aspetto, che si può desiderare di possedere, come il profumo, le scarpe o i vestiti a cui lo si accosta, necessario per soddisfare un proprio bisogno, o magari solo un capriccio.

Non importa che le immagini siano patinate, bellissime e glamorous, firmate magari da fotografi o agenzie famose, la questione non è estetica, ma etica. Questa oggettivazione è pericolosa perchè svaluta la potenzialità enorme delle donne, e riduce la femminilità al solo aspetto superficiale, esteriore e contingente:

"La donna è diventata solo una merce che si può comperare, consumare per poi liberarsene come un qualsiasi oggetto “usa e getta”. Troppo spesso è considerata solo per la bellezza e  l’aspetto esteriore del suo corpo e non invece per la ricchezza dei suoi valori veri di intelligenza e di bellezza interiore per la sua capacità di accoglienza, intuizione, donazione e servizio, per la sua genialità nel trasmettere l’amore, la pace e l’armonia, nonché nel dare e far crescere la vita. (2)"

come madre di tre figlie non posso che esserne preoccupata, ma sarei altrettanto preoccupata anche se avessi dei figli maschi. Perchè questa deriva materialista e consumistica del rapporto fra i sessi, danneggia il rapporto d'amore che unisce uomo e donna e li completa (3).

In questo contesto la sessualità:
"cessa di essere via di intima comunione tra l'uomo e la donna e deborda dal proprio ambito naturale, dilaga ovunque appiattendosi nelle sue espressioni materiali, volgarizzate dall'esplosione dell'erotismo nei media. Di qui (...) lo sviluppo di una sessualità "di consumo" (...), riducendo tutto ad una prestazione produttivistico-consumistica utile ad incrementare il mercato del sesso. (4)"

Mi piacerebbe che le pubblicità di scarpe mostrassero le scarpe, che quelle di gioielli mostrassero gioielli e quelle dei profumi delle bottiglie di vetro. Non sempre e solo donne nude e disponibili.

(1) F Bergoglio Amoris laetitia 282
(2) http://www.famigliacristiana.it/blogpost/la-donna-nei-mezzi-di-informazione.aspx
(3) https://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/letters/1995/documents/hf_jp-ii_let_29061995_women.html
(4) https://www.cittanuova.it/cn-download/10872/10873