E va bene, lo so, sono in ritardo.
Sull’argomento si sono
già espressi tutti. È che io sono sempre poco aggiornata sull'attualità. Il mio
telegiornale va in onda la mattina al bar, al caffè con le mamme delle classi
delle mie figlie. Qui mi informano sui massimi sistemi, tipo l’ultima visita
ufficiale del presidente degli Stati Uniti, l’ultima dichiarazione del Papa,
l’ultimo scandalo sociale o politico, ma anche questioni di costume (quest’anno
tornano le scarpe a punta e i tacchi a stiletto), di cultura (50 sfumature di
grigio non è lo slogan di uno sciogli-macchia) di alta gastronomia (cucinare il
cavolo verza occultando ai figli la sua identità di verdura si può). Siccome
però il più delle volte sono così in ritardo da varcare il portone della scuola
un secondo prima che ce lo sbarrino davanti, capita che perda parecchie
edizioni del mio TG mamme.
Quindi non ne sapevo nulla del Fertility day. Ho
fatto qualche ricerca e ho scoperto che si tratta di una iniziativa del
Ministero della Salute, che ha creato un sito e una campagna, “per
sensibilizzazione sul tema della fertilità e sul rischio della denatalità”. Questa
è musica per le mie orecchie: per la prima volta dacché sono mamma, i figli sono un argomento interessante
per la società e per le istituzioni, finora sorde ai nostri bisogni di genitori, in omaggio alla massima che dice: “i figli li hai voluti tu, e adesso
sono affari tuoi”. A me pare un bel passo avanti, no? Fatemi sognare, chissà
che prima o poi non si riesca a parlare di orari lavorativi flessibili, di
asili senza liste d’attesa pluriennali, di assegni familiari in euro e non in
centesimi.
E invece è scoppiato un putiferio… In tanti si sono offesi
per una frase: “La bellezza non ha età. La fertilità sì”.
E’ vero, ci piace pensare a noi stesse come eterne ragazzine.
Confesso che, quando da ventottenne incinta della prima figlia mi sono sentita
definire “primipara attempata” ci sono rimasta male, eppure è la verità, un
dato scientifico, mica una offesa personale. Non possiamo posticipare la
nascita dei figli indefinitamente, illudendoci di essere highlander (sì, e
magari pure di incontrare Cristopher Lambert al banco dei salumi). È saggio ricordare
che c’è un tempo per ogni cosa, concetto indigesto per la nostra generazione di
super giovani, peggio del polpettone fatto con gli avanzi del pranzo di
domenica.
I figli si fanno, se si fanno, sempre più tardi, quando
ormai si sono soddisfatti tanti altri desideri ed ambizioni. Prevale uno stile
di vita fondato su quel “concetto egoistico di libertà che vede nella
procreazione un ostacolo” come è scritto nell’Evangelium vitae. Siccome siamo
troppo impegnati a solcare oceani, a fare carriera, a frequentare eventi, il limite
anagrafico della fertilità ci appare un insulto alla nostra libertà, e chi ce
lo ricorda fa scandalo, ci vuole male e
ci sta pure vagamente antipatico.
Certo, con qualche servizio in più, con contratti di lavoro
a misura di mamma che lavora e non di stakanovista iperattivo, con qualche
sgravio fiscale per le famiglie numerose, si potrebbe avere un po’ di
incoraggiamento, ma insomma, non facciamo finta che il cambiamento di
aspettative e di stili di vita non abbia nessun peso nella scelta di non fare
figli, o di rinviarli il più tardi possibile. Perché fare figli è sacrificio, è
rinunciare, è mettere i bisogni di altri davanti non solo ai tuoi sogni e
desideri, ma talvolta persino alle tue necessità di base (tipo: dormire una
notte intera, leggerti un libro, provarsi due o tre vestiti senza saltare fuori
dal camerino in mutande perché il pargolo piange).
Sul web c’è chi protesta che non si può figliare quando il
lavoro scarseggia o è precario. Verità sacrosanta (anche se la generazione dei
miei nonni ha tirato su i figli nel dopoguerra, quando la povertà era un
concetto più letterale che nella attuale società del benessere), ma, pensando a
tutte le coppie senza figli che conosco - non un campione statistico dell’ISTAT,
per carità – tutti potrebbero permettersi una famiglia, magari ridimensionando l’esotismo
delle destinazioni estive o riducendo le dimensioni del guardaroba.
Ha ragione papa Francesco nel dire che l’idolatria delle
nostre comode abitudini ci allontana da cose più importanti, ci lega all’immanenza,
dimenticando che non è tutto qui. Invece di prendercela con chi ci ricorda che
tutto ha un termine. Forse, dovremmo mettere da parte tanti piccoli egoismi
quotidiani, ed investire in qualcosa di più grande, nel creare vite che ci
sopravvivranno, creature che potranno meritarsi la vita eterna, anime
immortali.
Papa Francesco
L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.261, 14/11/2015