giovedì 15 settembre 2016

Fertility dài!...

E va bene, lo so, sono in ritardo. 
Sull’argomento si sono già espressi tutti. È che io sono sempre poco aggiornata sull'attualità. Il mio telegiornale va in onda la mattina al bar, al caffè con le mamme delle classi delle mie figlie. Qui mi informano sui massimi sistemi, tipo l’ultima visita ufficiale del presidente degli Stati Uniti, l’ultima dichiarazione del Papa, l’ultimo scandalo sociale o politico, ma anche questioni di costume (quest’anno tornano le scarpe a punta e i tacchi a stiletto), di cultura (50 sfumature di grigio non è lo slogan di uno sciogli-macchia) di alta gastronomia (cucinare il cavolo verza occultando ai figli la sua identità di verdura si può). Siccome però il più delle volte sono così in ritardo da varcare il portone della scuola un secondo prima che ce lo sbarrino davanti, capita che perda parecchie edizioni del mio TG mamme. 

Quindi non ne sapevo nulla del Fertility day. Ho fatto qualche ricerca e ho scoperto che si tratta di una iniziativa del Ministero della Salute, che ha creato un sito e una campagna, “per sensibilizzazione sul tema della fertilità e sul rischio della denatalità”. Questa è musica per le mie orecchie: per la prima volta dacché  sono mamma, i figli sono un argomento interessante per la società e per le istituzioni, finora sorde ai nostri bisogni di genitori, in omaggio alla massima che dice: “i figli li hai voluti tu, e adesso sono affari tuoi”. A me pare un bel passo avanti, no? Fatemi sognare, chissà che prima o poi non si riesca a parlare di orari lavorativi flessibili, di asili senza liste d’attesa pluriennali, di assegni familiari in euro e non in centesimi.

E invece è scoppiato un putiferio… In tanti si sono offesi per una frase: “La bellezza non ha età. La fertilità sì”.
E’ vero, ci piace pensare a noi stesse come eterne ragazzine. Confesso che, quando da ventottenne incinta della prima figlia mi sono sentita definire “primipara attempata” ci sono rimasta male, eppure è la verità, un dato scientifico, mica una offesa personale. Non possiamo posticipare la nascita dei figli indefinitamente, illudendoci di essere highlander (sì, e magari pure di incontrare Cristopher Lambert al banco dei salumi). È saggio ricordare che c’è un tempo per ogni cosa, concetto indigesto per la nostra generazione di super giovani, peggio del polpettone fatto con gli avanzi del pranzo di domenica.


I figli si fanno, se si fanno, sempre più tardi, quando ormai si sono soddisfatti tanti altri desideri ed ambizioni. Prevale uno stile di vita fondato su quel “concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo” come è scritto nell’Evangelium vitae. Siccome siamo troppo impegnati a solcare oceani, a fare carriera, a frequentare eventi, il limite anagrafico della fertilità ci appare un insulto alla nostra libertà, e chi ce lo ricorda fa scandalo,  ci vuole male e ci sta pure vagamente antipatico.

Certo, con qualche servizio in più, con contratti di lavoro a misura di mamma che lavora e non di stakanovista iperattivo, con qualche sgravio fiscale per le famiglie numerose, si potrebbe avere un po’ di incoraggiamento, ma insomma, non facciamo finta che il cambiamento di aspettative e di stili di vita non abbia nessun peso nella scelta di non fare figli, o di rinviarli il più tardi possibile. Perché fare figli è sacrificio, è rinunciare, è mettere i bisogni di altri davanti non solo ai tuoi sogni e desideri, ma talvolta persino alle tue necessità di base (tipo: dormire una notte intera, leggerti un libro, provarsi due o tre vestiti senza saltare fuori dal camerino in mutande perché il pargolo piange).

Sul web c’è chi protesta che non si può figliare quando il lavoro scarseggia o è precario. Verità sacrosanta (anche se la generazione dei miei nonni ha tirato su i figli nel dopoguerra, quando la povertà era un concetto più letterale che nella attuale società del benessere), ma, pensando a tutte le coppie senza figli che conosco - non un campione statistico dell’ISTAT, per carità – tutti potrebbero permettersi una famiglia, magari ridimensionando l’esotismo delle destinazioni estive o riducendo le dimensioni del guardaroba.

Ha ragione papa Francesco nel dire che l’idolatria delle nostre comode abitudini ci allontana da cose più importanti, ci lega all’immanenza, dimenticando che non è tutto qui. Invece di prendercela con chi ci ricorda che tutto ha un termine. Forse, dovremmo mettere da parte tanti piccoli egoismi quotidiani, ed investire in qualcosa di più grande, nel creare vite che ci sopravvivranno, creature che potranno meritarsi la vita eterna, anime immortali.


Papa Francesco L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLV, n.261, 14/11/2015

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